l Future Film Festival, nella sua annuale esplorazione della storia del fantastico e degli effetti speciali, rende quest’anno omaggio alla ricchissima tradizione giapponese del cinema di fantasmi e spiriti, alla ricerca delle radici di film contemporanei celeberrimi come Ring, Dark Water o La Città Incantata.
Da un lato si guarderà agli albori del cinema horror nipponico, con film come Kaidan Botan-doro e due celebri adattamenti della leggenda di Yotsuya Kaidan, alla ricerca delle origini di una delle icone di fine secolo, l’inquietante, struggente Sadako di Ring; dall’altro si esplorerà la tradizione meno nota dei racconti orali sugli Yokai, gli spiriti delle cose e della natura, con film come il classico Yokai Daisenso. Inclassificabile risulta invece Kwaidan di Kobayashi Masaki, opus magnum di uno dei grandi registi della storia del cinema giapponese, a metà tra l’horror e il film d’arte, espressionista e cromaticamente ricchissimo, un’opera che ha ispirato, tra gli altri, il Paul Schraderdi Mishima e il Kurosawa Akira di Sogni.
Non mancherà uno sguardo al presente, con Kairo di Kurosawa Kiyoshi, capolavoro assoluto del new horror, e il nuovissimo Yokai Daisenso del regista cult Miike Takashi, remake dell’omonimo film degli anni Sessanta.
La retrospettiva è a cura di Luca Della Casa e Carlo Tagliazucca.
I film della retrospettiva:
Kaidan Botan-doro (The Bride From Hell)
di Yamamoto Satsuo, 1968
Durante la tradizionale festa di O-Bon, la festa dei morti, un uomo si innamora di una splendida fanciulla. Presto l’uomo capisce che la donna è un fantasma, e che la loro storia lo porterà alla morte, ma l’attrazione tra i due è fatale e impossibile da spezzare. Una delle più grandi storie d’amour fou mai raccontate al cinema, fantastico immaginifico connubio di visionarietà macabra e romanticismo fatato. Un film commovente e inquietante, degno di stare accanto ai classici del melò fantastico, siano essi occidentali, come Pandora o Il fantasma e la signora Muir, o orientali, come A Chinese Ghost Story o Rouge.
Yotsuya Kaidan (The Yotsuya Ghost Story)
di Kinoshita Keisuke, 1949
Il samurai decaduto Iemon, stanco della vita da rinnegato, uccide la moglie Oiwa per potersi risposare con una donna di famiglia ricca. Il fantasma di Oiwa tornerà a tormentarlo a più riprese, fino a portarlo al suicidio. Tratto da un classico del kabuki più volte portato al cinema e diretto da uno dei più grandi registi giapponesi di sempre, Kinoshita Keisuke, Yotsuya Kaidan è uno dei migliori adattamenti della storia in assoluto, inesorabile nell’incedere della tragedia e sfaccettato nel tratteggio dei personaggi, capace di trascendere grazie allo stile gli stereotipi del racconto di fantasmi e di elevarsi a vero e proprio racconto morale.
Yotsuya Kaidan (The Yotsuya Ghost Story)
di Misumi Kenji, 1959
La ricca figlia di un proprietario terriero, Oume, si innamora del samurai Iemon, e ne uccide a tradimento la moglie, Oiwa. Iemon è pronto a vendicarla, ma non ha previsto l’intervento dello spettro della stessa Oiwa, decisa a farsi giustizia da sola. Il grande regista d’azione Misumi Kenji, noto per le serie di Zatoichi e Lone Wolf and Cub si misura da par suo con la leggenda di Oiwa, stravolgendone la struttura: Iemon non è più un vile assassino, ma un eroe raggirato. Horror, azione e melodramma si mescolano con formidabile energia, in una delle grandi riuscite del cinema fantastico giapponese.
Kwaidan
di Kobayashi Masaki, 1964
Quattro storie tra il fantastico e l’orrorifico: Un uomo torna a casa dopo molti anni, e scopre che la moglie è un fantasma; un viandante viene salvato da una misteriosa donna delle nevi, che lo sposa a patto che lui non parli mai della natura sovrannaturale del loro rapporto; un musicista cieco si esibisce davanti ad una corte di spettri e lotta per la propria anima; un uomo scorge un volto intrappolato in una tazza di tè e fa l’esperienza di trangugiare un’anima… Diretto da Kobayashi Masaki, grande regista di film morali sui samurai come Harakiri e L’ultimo Samurai, Kwaidan è una delle più variopinte e mesmeriche esperienze visive che si possano fare al cinema, un’opera monumentale ed espressionista capace di creare nuovi mondi e immagini mai viste, tra scenografie dipinte con colori accesissimi e trucchi visivi senza tempo.
Yokai Daisensou (Yokai Monsters 1: Spook Warfare)
di Kuroda Yoshiyuki, 1968
Il gigantesco demone babilonese Daimon si impossessa del corpo del governatore di Izu. L’unico a conoscenza dello scambio d’identità è un pacifico Kappa, un demone dell’acqua. Radunato un piccolo esercito di spiriti e demoni, il kappa dà battaglia a Daimon per salvare il mondo.
Negli anni del trionfo di Godzilla e dei mostri giganti, la Daiei risponde allo strapotere della Toho con la saga degli Yokai, gli spiriti del folklore giapponese, e dà il via ad una spettacolare rèverie in tre capitoli, tripudio di effetti speciali, pupazzi e travestimenti dalle fogge più disparate, ingenui ma dotati di una grazia incantata. Yokai Daisenso è il capitolo migliore della serie, il più compatto e a suo modo poetico.
Yokai Daisensou (The Great Yokai War)
di Miike Takashi, 2005
Un bambino si ritrova coinvolto suo malgrado nella guerra tra un demone potentissimo e il bizzarro popolo degli Yokai. Sarà costretto a crescere e a prendere decisioni fatali per proteggere se stesso e il mondo. Delirante e liberissimo remake del film di Kuroda del ’68, Yokai Daisenso rappresenta la prima incursione dell’iconoclasta e feroce Miike Takashi nel cinema ad alto budget e per famiglie. Miike lo fa ovviamente da par suo, ed imbastisce una fiaba nera punteggiata da morti e piccoli segnali inquietanti, ma al tempo stesso gioiosa ed anarchica come i suoi protagonisti Yokai, capaci di tramutare una battaglia mortale in un’assurda festa catartica a base di botte ed acrobazie. Cinema della meraviglia, senza mezzi termini.Hausu (House)
di Obayashi Nobuiko, 1977
Sette ragazze vanno a passare una breve vacanza nella vecchia casa della zia di una di loro. Ma l’edificio nasconde un oscuro segreto, e sembra vivere di vita propria. A poco a poco le ragazze si rendono conto di essere finite in una trappola mortale. L’opera più celebre di Obayashi Nobuhiko è un pastiche macabro e pieno di ghignante humour nero che mescola l’iconografia dell’horror nipponico a base di specchi e ciocche di capelli con i topoi del gotico occidentale sulle case infestate. Lo stile adottato dal regista è sfrontatamente barocco, a metà tra il cartoonesco e lo splatter, e anticipa le contaminazioni “postmoderne” del cinema americano degli Hooper, Raimi, Gordon e Zemeckis.
Kairo (Pulse)
di Kurosawa Kiyoshi, 2001
Un misterioso virus si sta espandendo nel mondo via internet: le persone muoiono una ad una lasciando dietro di sé solo una macchia verde. Il mondo si sta svuotando, rimangono solo spettri malati di solitudine che implorano aiuto. Vetta del new horror post-Ringu, Kairo è il capolavoro di Kurosawa Kiyoshi, una sorta di film catastrofico “imploso” e dominato da vuoto, girato con uno stile ellittico e sospeso che non ha eguali nella storia del cinema.